“Raffaello nella collezione Farnese a Napoli” di Marco Tedesco, storico dell’arte

Il 2019 e il 2020 sono ricordati come anni importanti per la storia dell’arte Italia. Al cinquecentesimo anniversario della morte del genio del rinascimento Leonardo Da Vinci, segue il V centenario della morte di un altro grande genio del rinascimento italiano. Stiamo parlando di Raffaello Sanzio, il quale viene celebrato in un periodo particolare in cui oggi il mondo si ritrova. Celebrare Raffaello in questa circostanza vuol dire far trionfare la bellezza immortale dell’arte italiana del rinascimento. Egli si spense a seguito di una forte febbre secondo Marcantonio Michiel il 6 aprile del 1520, data coincidente con il venerdì santo, all’età di 37 anni. Dato riportato da Giorgio Vasari nelle Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, il quale così descrive la circostanza della morte del maestro “Poi confesso e contrito finì il corso della sua vita, il giorno medesimo che nacque, che fu il venerdì santo d’anni XXXVII, l’anima del quale è da credere che come di sue virtù ha abbellito il mondo, così abbia di se medesima adorno il cielo” (Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, 1550, ed. cons. 2009, Roma, Newton Compton, p. 639).

In questo articolo si vuole contribuire alle celebrazioni per il cinquecentenario della morte di Raffaello proponendo l’analisi di due opere provenienti dalla collezione Farnese oggi collocata al primo piano del museo di Capodimonte a Napoli. Attraverso di esse cercheremo di evidenziare l’inizio del percorso artistico di Raffaello in maniera autonoma. Per fare questo bisogna partire dal 1500-1501, anni in cui gli storici dell’arte registrano la commissione a Raffaello della la Pala Baronci. Tale commissione porta il nome di Andrea di Tommaso Baronci, il quale commissionò la pala a Raffaello per la cappella di Famiglia nella chiesa di Sant’Agostino a Città di Castello. L’opera è conosciuta anche come Pala del Beato Nicola da Tolentino ed era composta da alcuni frammenti alcuni dei quali oggi sparsi in vari musei.

I frammenti conosciuti sono:
– Angelo, trasportato su tela, Brescia, Pinacoteca Tosio-Martinengo
– Angelo, Parigi, Museo del Louvre
– Eterno tra cherubini e testa di Madonna, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte
– Nicola da Tolentino resuscita due colombe, Detroit, Detroit Institute of Arts
– Nicola da Tolentino soccorre un fanciullo che annega, Detroit, Detroit Institute of Arts
– Nicola da Tolentino e gli impiccati, Pisa, Museo nazionale di palazzo reale.

Raffaello ed Evangelista da Pian di Meleto, Pala del Beato Nicola da Tolentino, frammento con L'eterno tra cherubini e testa di Madonna, 1500-1501, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte

Raffaello ed Evangelista da Pian di Meleto, Pala del Beato Nicola da Tolentino, frammento con L’eterno tra cherubini e testa di Madonna, 1500-1501, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte

Si tratta della prima opera documentata di Raffaello, alla cui esecuzione egli partecipò ancora diciassettenne, eseguendola insieme ad un anziano collaboratore del padre Giovanni Santi, che risponde al nome di Evangelista da Pian di Meleto. La partecipazione di Raffaello all’esecuzione di tale opera è documentata da Paolo Franzese, il quale spiega che nel contratto per la commissione della Pala, l’allora diciassettenne Raffaello veniva già indicato come magister Rafael Johannis Santis de Urbino, e prima dell’anziano collaboratore, testimoniando ufficialmente come venisse già, a diciassette anni, ritenuto pittore autonomo dall’apprendistato concluso.

Secondo alcuni studiosi che basarono la composizione originale della pala su una ricostruzione settecentesca di essa attribuita a Ermenegildo Costantini, al centro si trovava Nicola da Tolentino, allora ancora beato, che schiacciava il demonio, affiancato da tre angeli con cartigli: due in coppia a destra e uno solitario a sinistra. In mano il santo reggeva un libro aperto e un lungo crocifisso. La parte superiore della pala, assente nella copia settecentesca, mostrava una triplice incoronazione del santo, da parte dell’Eterno in una mandorla di cherubini, da parte della Vergine Maria inginocchiata e da parte di sant’Agostino con gli abiti vescovili. Lo sfondo doveva essere composto da un’ampia arcata, aperta sul paesaggio. Nella predella invece dovevano esserci raffigurazioni delle storie di Nicola da Tolentino.

Il frammento napoletano, raffigura l’Eterno tra i cherubini e testa di Madonna e corrisponderebbe alla parte superiore della pala. Sullo sfondo, composto da una grande arcata realizzata in trompe l’oeile, ossia una tecnica pittorica che permetteva di riprodurre elementi architettonici e scultorei così come essi appaiono agli occhi dell’osservatore, dalla quale è possibile osservare scorci di cielo che dovevano sovrastare il paesaggio originale della Pala Baronci o del Beato Nicola da Tolentino, l’Eterno appare qui all’interno di una mandorla composta da cherubini, uniti tra loro da pennellate di colore verde, bianco e rosso chiaro. Questo aspetto mostra un legame tra la Pala Baronci e la Pala Buffi del padre del maestro, Giovanni Santi, nella quale l’Eterno appare all’interno di un tondo anch’esso composto da cherubini collegati tra loro da pennellate di colore verde, bianco e rosso, eseguita per la chiesa di San Francesco a Urbino, oggi conservata nella Galleria nazionale delle Marche.

Giovanni Santi, Pala Buffi, 1440, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

Giovanni Santi, Pala Buffi, 1440, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

20200406_233413Sulla scelta dei colori utilizzati da Raffaello per formare la mandorla, potrebbe nascere l’ipotesi che Raffaello, e prima di lui il padre Giovanni Santi, possa aver ispirato la conformazione del tricolore italiano, i cui colori sono proprio il verde, il bianco e il rosso. La disposizione così proposta da Giovanni Santi ed in seguito da Raffaello, anticipa la nascita della coccarda tricolore che avverrà a Genova molti secoli dopo, nel 1789, pochi mesi dopo la rivoluzione francese.

La seconda opera che si propone in questo percorso raffaellesco nel museo napoletano di Capodimonte, si lega al nome dei Farnese ed alla collezione omonima esposta nelle sale al primo piano del museo, secondo la disposizione originaria voluta da Carlo III di Borbone, erede della collezione da parte della madre Elisabetta Farnese, discendente del cardinale Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III, iniziatore di tale collezione di autentici capolavori, che nella prima sala del Museo di Capodimonte di Napoli, ci presenta una sorta di album di famiglia e uno sguardo sulla vita dei componenti della famiglia Farnese del XVI secolo, composto da dipinti attribuiti a grandi artisti tra cui Tiziano e lo stesso Raffaello. Proprio a Raffaello, tocca presentarci il cardinale Alessandro Farnese, ancor prima di diventare papa. Ce lo presenta con il Ritratto del Cardinale Alessandro Farnese, eseguito tra il 1509 e il 1512, anni in cui il cardinale Alessandro Farnese divenne vescovo di Parma e iniziò la grande raccolta di dipinti che portò alla formazione dell’omonima collezione, oggi divisa tra i musei di Parma e Napoli.

Raffaello, Ritratto del Cardinale Alessandro Farnese, 1509-1512, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte

Raffaello, Ritratto del Cardinale Alessandro Farnese, 1509-1512, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte

L’iniziatore della collezione Farnese, viene qui Raffigurato da Raffaello in una prospettiva di tre quarti che ne mette in risalto l’aspetto solenne e l’atteggiamento di superiorità, evidenziato dal prevalere del colore rosso, simbolo del potere, del manto cardinalizio, con la mano sinistra che gli scivola solennemente lungo il fianco mentre nella mano destra mostra un cartiglio all’osservatore. Lo sguardo del personaggio, esprime da un lato fierezza, la potenza del rango della famiglia, esaltata dalla luce che invade la scena dal davanti, dall’altro esprime incertezza; una incertezza legata alla gioventù del futuro papa Paolo III Farnese e a ciò che egli immagina possa seguire la sua elezione al soglio pontificio.

Le due opere qui analizzate, ci presentano una importante pagina della storia dell’arte legata a Raffaello in un percorso che si snoda dall’arte sacra alla ritrattistica aristocratica e che permette al maestro di continuare a raccontare ancora oggi la sua affascinante arte, alla quale molti artisti si ispirarono, tra cui Andrea Sabatini da Salerno nelle cui opere l’ispirazione raffaellesca è largamente indicata anche grazie alla presenza in quegli anni di una Madonna del Pesce nella chiesa napoletana di San Domenico Maggiore, identificata con il medesimo soggetto conservato al Prado di Madrid, che secondo il Summonte sarebbe stata eseguita da Raffaello nel 1514, commissionatagli da Giovanni Battista del Duce per la Cappella di Santa Rosa da Lima, ove rimase fino al 1638, quando venne in possesso del vicerè spagnolo, il duca di Medina Ramiro Felipe Núñez de Guzmán.

Raffaello, Madonna del Pesce, 1514, Madrid, Museo del Prado

Raffaello, Madonna del Pesce, 1514, Madrid, Museo del Prado

Andrea Sabatini da Salerno, Nozze mistiche di Santa Caterina tra i Ss. Pietro e Paolo, XVI sec., Nocera Inferiore, convento di Sant'Antonio

Andrea Sabatini da Salerno, Nozze mistiche di Santa Caterina tra i Ss. Pietro e Paolo, XVI sec., Nocera Inferiore, convento di Sant’Antonio

 

Ben poteva la pittura” scrive il Vasari a tal proposito “quando questo nobile artefice morì, morire anche ella che quando egli gli occhi chiuse, ella quasi cieca rimase. Ora a noi che dopo di lui siamo rimasi, resta imitare il buono, anzi ottimo modo da lui lasciatoci in esempio e come merita la virtù sua e l’obbligo nostro tenerne nell’animo graziosissimo ricordo e farne con la lingua sempre onoratissima memoria“.

Marco Tedesco

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