Giovanni e Girolamo Todisco nel convento di Sant’Antonio a Rivello: un viaggio tra unicum e tradizione.

di Marco Tedesco, storico dell’arte RAM Rinascita Artistica del Mezzogiorno

La storia dell’arte lucana, non smette mai di presentarci all’interno delle sue pagine storie affascinanti. Le storie che andremo a raccontare in questo articolo riguardano i pittori di Abriola Giovanni e Girolamo Todisco, sicuramente parenti e probabilmente padre e figlio. Racconteremo della loro attività artistica nel convento di Sant’Antonio a Rivello, piccolo paese della provincia di Potenza, in Basilicata. Il nostro viaggio parte dal XVIo secolo, periodo storico in cui il movimento francescano, diffusosi sin dall’inizio in tutta l’antica diocesi di Policastro, esattamente dal 1559, anno in cui a Giovanni Todisco venne commissionato da Ettore Pignatelli, che all’epoca era feudatario di Rivello, l’affresco dell’Ultima Cena del refettorio del convento rivellese di Sant’Antonio. Tutta la vicenda, avviene all’interno di un ampia ed elegante sala nobiliare che ricorda vagamente le la decorazione effettuata da Raffaello nelle logge vaticane, a sua volta influenzato dai ritrovamenti archeologici della Domus Aurea di Nerone avvenuti nel 1480 e divenuti popolari per tutti i pittori del Cinquecento. Ai lati della scena, compaiono il Pignatelli e la sua consorte e questo aspetto ci fa pensare che l’artista abbia voluto inserire le figure dei committenti ai lati della scena principale, quasi come se i due committenti avessero voluto ospitare Cristo e gli apostoli in un’ampia sala riccamente addobbata della loro casa. Questa stanza sfarzosa viene eseguita attraverso un sapiente uso della prospettiva,  come giustamente indicato da Anna Nica Fittipaldi nell’articolo da lei pubblicato su https://scrittisullarteebeniculturali.wordpress.com/ dal titolo ULTIMA CENA DEL CONVENTO DI SANT’ANTONIO A RIVELLO.

Giovanni Todisco, Ultima Cena, 1559, Rivello, Refettorio del convento di Sant Antonio

Giovanni Todisco, Ultima Cena, 1559, Rivello, Refettorio del convento di Sant Antonio

In questo affresco, Giovanni Todisco volle rappresentare un momento cardine dell’intera vicenda evangelica dell’Ultima Cena ossia l’istituzione dell’eucarestia: Cristo sta dando l’eucarestia a Giuda, il quale a differenza degli altri apostoli è indicato da un preciso simbolo ossia l’aureola nera.
Questo aspetto, viene letto come l’indicazione del traditore da parte di Cristo, sottolineato dal sentimento di incredulità che aleggia tra gli altri apostoli alcuni dei quali discutono tra loro increduli su quanto appena rivelato da Cristo “In verità vi dico, uno di voi mi tradirà”. Il nero, infatti, simboleggia un presagio del male, delle tenebre, un presagio di morte, una prefigurazione di ciò che sta per avvenire, ossia il tradimento di Giuda con ricompensa dei trenta denari e l’arresto di Cristo nel Getsemani che da inizio alla vicenda evangelica della sua passione, morte e resurrezione. Ai piedi del Cristo, sotto il tavolo, vi si riconosce inginocchiata la Maddalena riconoscibile dall’ampolla con i suoi unguenti, ed è intenta ad asciugare i piedi di Gesù.
La composizione è caratterizzata da un ricco banchetto in cui sono presenti oltre ai canonici simboli dell’ultima cena come l’agnello, il pane ed il vino, anche pietanze tipiche come ad esempio il biscotto dalla classica forma ad otto, i granchi, il coniglio ripieno, le castagne e le fave o ancora frutti che hanno un preciso riferimento alla vicenda evangelica della passione, tra cui ad esempio le ciliegie, simbolo della passione di Cristo per il loro colore che evoca il sangue di Cristo versato sulla croce e la melagrana, simbolo della resurrezione. Todisco, inserisce nella raffigurazione anche Sant’Antonio da Padova, ben riconoscibile dal giglio, suo attributo iconografico ed un gatto e un cane posizionati l’uno di fronte all’altro, rispettivamente simboli del bene e del male. Sul dinamismo delle figure che caratterizzano la composizione, non si può non far riferimento ad una celebre e famosa composizione che rivoluzionò l’iconografia dell’ultima cena: quella eseguita da Leonardo da Vinci tra il 1485 e il 1489 nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Tale fu il successo del celebre affresco leonardesco che ben presto per gli anni a seguire venne preso come modello e fonte di ispirazione per la rappresentazione iconografica dell’ultima cena, grazie anche alle sue riproduzioni pittoriche e a stampa, le quali si diffusero in tutta la penisola italiana, influenzando tutti i pittori che si avvicinarono al tema iconografico dell’Ultima Cena. Si potrebbe ipotizzare che anche questa innovazione, dunque, abbia influenzato Giovanni Todisco nell’esecuzione dell’affresco di Rivello, in cui ancora l’accostamento tra umanità e divinità si può toccare con mano, osservando allo stesso tempo le abitudini alimentari dei banchetti nobiliari dell’epoca caratterizzati anche dalla presenza di prodotti tipici del territorio lucano. Ciò fa pensare a Giovanni Todisco come un attento osservatore della realtà e del territorio in cui egli agiva.

Nello stesso luogo, agì anche il suo parente o probabile figlio Girolamo Todisco, il quale realizzò gli affreschi del chiostro in parte insieme a Giovanni, regalando alla storia dell’arte lucana dei veri e propri unicum iconografici che mai ci si sarebbe aspettati di incontrare nell’iconografia sacra francescana. Il primo di questi unicum che incontriamo riguarda la raffigurazione iconografica della “Crocifissione dei santi martiri francescani in Giappone”, datato tra la fine del XVIo e gli inizi del XVIIo secolo, in cui Girolamo Todisco racconta un episodio realmente accaduto in Giappone nel 1597, in cui durante una violenta persecuzione dei cristiani convertiti durante una missione di San Francesco Saverio in Giappone, la quale a causa dei rapporti incrinati tra Spagna e Portogallo e il governo Giapponese, sfociò in violente complicazioni come la crocifissione di 26 frati francescani da parte delle autorità giapponesi le quali in questo modo contrastarono l’avanzata del Cristianesimo nei loro territori e quindi l’affermazione del potere politico di Spagna e Portogallo attraverso la conversione alla religione cristiana della popolazione Giapponese.

Girolamo Todisco, Crocifissione dei santi martiri francescani in Giappone, XVI-XVII secolo, Rivello, convento di Sant'Antonio

Girolamo Todisco, Crocifissione dei santi martiri francescani in Giappone, XVI-XVII secolo, Rivello, convento di Sant’Antonio

Una volta inchiodati sulla croce, ai martiri veniva inferto il colpo finale attraverso l’utilizzo della lancia. È proprio questo il momento che Girolamo Todisco sceglie di raccontare attraverso la raffigurazione di questa scena di martirio, il momento della morte ma una morte intesa come rinascita in Cristo, da interpretare come il trionfo della religione cristiana pura su ogni cosa.

Un aspetto che compare in un altro unicum che Girolamo Todisco propone nel programma iconografico affrescato del convento di Sant’Antonio a Rivello, ossia nel San Francesco che decapita un vescovo (il trionfo della chiesa spirituale sul potere ecclesiastico corrotto), in cui vediamo il santo poverello di Assisi compiere un gesto del tutto inusuale. Egli ha appena inferto un colpo di scure nei confronti di un vescovo decapitandolo con violenza.

Girolamo Todisco, San Francesco decapita un vescovo, XVI - XVII secolo, Rivello (Potenza), convento di Sant'Antonio

Girolamo Todisco, San Francesco decapita un vescovo, XVI – XVII secolo, Rivello (Potenza), convento di Sant’Antonio

L’azione è appena avvenuta, vediamo il sangue che sgorga a fiumi e l’azione è ambientata all’interno di una stanza da letto di un appartamento privato, forse di proprietà del vescovo decapitato dal santo di Assisi, in cui sulla parete di fianco alla “scena del crimine” compaiono delle figure di santi affrescate. Si tratta di un santo francescano non ben identificato e di un’altra figura di santo che reca in mano una croce, proponendo in maniera geniale un affresco all’interno di un affresco. Questo aspetto rafforza ancora di più il significato teologico di questo affresco ossia il trionfo della chiesa spirituale, basata sulla predicazione della povertà e della carità, sul potere ecclesiastico politico corrotto basato invece sulla ricchezza e sul possedimento dei beni terreni da parte della chiesa dell’epoca.

Ancora una volta, la storia dell’arte lucana ci ha mostrato autentiche sorprese facendoci conoscere alcuni aspetti dell’arte pittorica di Giovanni e Girolamo Todisco. Un’arte basata sullo studio dei principi dettati dai contesto artistico in cui essi hanno vissuto caratterizzati dalle sperimentazioni di Leonardo da Vinci e le innovazioni pittoriche di Raffaello per quanto riguarda Giovanni Todisco e sull’apporto di innovazioni iconografiche da parte di Girolamo Todisco il quale presenza come abbiamo visto dei veri e propri unicum iconografici fino ad allora sconosciuti alla storia dell’arte sacra. Due mondi artistici, quello di Giovanni e quello di Girolamo Todisco in parte diversi tra loro ma uniti allo stesso tempo dall’osservazione e dallo studio della realtà cosi come essa appariva ai loro occhi, avventurandosi in una fusione tra divinità e umanità.

 

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