“Il Candlelight Master: un misterioso caso della storia dell’arte” di Maria Rosaria Napoleone, storica dell’arte

Enigmatica e complessa è la vicenda dell’artista noto come Candlelight Master, specializzato nella pittura a luce artificiale. Egli venne battezzato in tal modo dallo studioso Benedict Nicolson, nel lontano 1960 , quando dopo aver riunito un numeroso gruppo di opere accomunate da questo genere di pittura, le classificò attribuendole a tale artista anonimo. Basandosi sui soli dati stilistici, lo studioso ipotizzò che dovesse trattarsi di un seguace del famoso pittore olandese Gerrit Van Honthorst, a Roma tra il 1610 circa e il 1620, arrivando alla conclusione che dovesse essere un’artista d’oltralpe, un olandese o un francese. Dopo qualche anno in seguito alle ricerche condotte da Jaques Bousquet negli archivi romani, e agli indizi raccolti, lo studioso concluse certamente dovesse trattarsi dell’artista originario di Arles Trophime Bigot , alias “Teofilo Trufamonti” secondo quanto registrato dagli Stati delle Anime che lo citano a Roma dal 1621 al 1630.
Ma la successiva analisi e i confronti stilistici fra le tele firmate e datate di quest’ultimo, conservate in Provenza e quelle raccolte dal Nicolson non rivelarono riscontri, gettando nuovamente nel dubbio la vicenda fino a far supporre allo studioso, verso la metà degli anni Settanta, l’esistenza di due Bigot tra loro imparentati, quello più anziano autore delle tele provenzali di gusto più tradizionale e quello più giovane giunto a Roma autore dei dipinti in stile caravaggesco .
Numerosi studiosi si dedicarono al complicato caso dell’identificazione del misterioso artista, cercando qualche traccia nei documenti archivistici. Novità documentarie infatti emersero alla fine degli anni Settanta, quando negli archivi della chiesa di Santa Maria in Aquiro a Roma, Olivier Michel rintracciò il pagamento relativo a una delle tre tele della Cappella della Passione rappresentante il Compianto di Cristo (fig. 3), facente parte insieme alle altre due (fig. 1, fig. 2) del gruppo riunito dal Nicolson, riferito a un certo “Maestro Jacomo” e risalente al 1634.

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fig. 1 Compianto, 1634, Cappella della Passione, Santa Maria in Aquiro, Roma

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La scoperta e la seguente pubblicazione di questo documento , comportò che nel corso degli anni lo studio dei critici si articolasse in tre direzioni: coloro che continuavano a ritenere che il Candlelight Master fosse Trophime Bigot e che il Compianto di Santa Maria in Aquiro dovesse essere separato dal suo catalogo; coloro che sostenevano la coincidenza fra la personalità del Candlelight Master e Mastro Jacomo escludendo dal gruppo la figura di Bigot; e coloro che erano convinti si trattassero di tre pittori differenti.
Punti di svolta fondamentali in quest’indagine saranno proprio i documenti ritrovati, quello già citato, rinvenuto nel 1978 e quelli più recenti rintracciati da Adriano Amendola nel 2012 . Si tratta dei pagamenti riferiti a tutte e tre le tele nella cappella della Passione in Santa Maria in Aquiro, risalenti al 1634-1635, dovuti al pittore Giacomo Massa, il nome completo di quel Maestro Jacomo. Sulla base di questo ritrovamento documentario Amendola ha cercato di distinguere all’interno del gruppo originario messo insieme dal Nicolson negli anni Sessanta, la mano di Giacomo Massa, ricollegando all’artista la Cena in Emmaus del Musée Condé di Chantilly (fig. 4) e il San Francesco in preghiera del Museo dei Cappuccini di Roma (fig. 5), arrivando a supporre che Giacomo Massa fosse il nostro Maestro della Candela.

fig. 2 Flagellazione, 1634-1635, Cappella della Passione, Chiesa di Santa Maria in Aquiro, Roma
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fig. 3  Incoronazione di spine, 1634-1635,  Cappella della Passione, Chiesa di Santa Maria in Aquiro, Roma

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fig. 4  Cena in Emmaus, MuséeCondé, Chantilly

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fig. 5  San Francesco in preghiera, Museo dei Cappuccini, Roma

Dall’evidenza documentaria il mistero sembrerebbe risolto. Ma in realtà, nonostante il rinvenimento di questi documenti risulta tutt’oggi difficoltoso chiarire la vicenda e ricondurre le giuste attribuzioni ai relativi artefici. Le ipotesi sono tuttora discordanti. Il problema attributivo riguarda proprio anche le stesse tele di Santa Maria in Aquiro ritenute da alcuni studiosi, nonostante l’evidenza documentaria, appartenenti a mani diverse . L’identificazione è tutt’altro che immediata. Infatti è vero che ora conosciamo il nome completo di questo pittore, ma ciò fa altrettanto dubitare sulla sua provenienza, in assenza di altri documenti che possano attestarla e di opere autografe che possano suggerire un confronto stilistico coerente. Dal cognome privo di appellativi aggiuntivi sulla provenienza, così come risulta dal documento si potrebbe pensare che la sua origine sia italiana, ipotesi da sempre esclusa in quanto non compatibile con lo stile delle sue opere. Se così fosse si tratterebbe di un pittore italiano che dipinge alla maniera nordica? Oppure di un artista straniero dal nome italianizzato? O ancora questo pittore Giacomo Massa è a capo di una bottega, indi per cui a costui sono intitolati i pagamenti ma sono altri gli esecutori delle tele di Santa Maria in Aquiro? Oggi non siamo ancora in grado purtroppo di rispondere a questi interrogativi, pertanto la questione sembrerebbe rimanere aperta. Inoltre è emersa la personalità di questo pittore Giacomo Massa, legato a tale vicenda e di cui è necessario ricostruire la personalità.
Altro problema è quello legato alla cronologia delle opere del gruppo. Le uniche datate sono quelle di Santa Maria in Aquiro, risalenti al 1634-1635. Anche se queste siano datate in questi anni, stilisticamente sono collegabili al secondo decennio del secolo, cioè al momento di massima diffusione del Caravaggismo e in particolare riprendono lo stile adottato da Honthorst negli anni romani. Nonostante negli anni Trenta il fenomeno del Caravaggismo si stesse ormai eclissando, a causa dell’imposizione della pittura classicista e barocca, esso continuava a sopravvivere nell’opera di alcuni pittori, come proprio nel caso del Candlelight Master, nella direzione della pittura a lume artificiale, o di altri che integrarono la ricerca naturalistica e i violenti contrasti chiaroscurali con il
linguaggio artistico più in voga di quegli anni, come nel caso di Tommaso Dovini detto il Caravaggino o di Mattia Preti.

L’Incoronazionedi Spine(fig. 3), rivela una pennellata sottile e lucida e una zona d’ombra molto più buia di quella dei dipinti honthorstiani. Le figure emergono dal buio, rivelate dalla lucerna tenuta dal personaggio inginocchiatoaggio inginocchiato di fronte al Cristo. Questo modo di lumeggiare deriva da Honthorst: ad esempio nella Decollazione del Battista (fig. 7) in Santa Maria della Scala, la scena è costruita sui violenti effetti di una torcia protesa in primo piano e di una lampada che poggiata in terra, rischiara il pavimento e pallidamente anche le figure appena abbozzate dietro il boia.
Il motivo del bambino in controluce in primo piano che illumina la scena, è un motivo frequente nell’opera di Honthorst, come possiamo vedere nel Cristo Bambino nella bottega di San Giuseppe (fig. 6), precedentemente al Convento di San Silvestro a Montecompatri e oggi perduto.

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Il Compianto (fig. 1), sull’altare maggiore della cappella della Passione presenta la stessa scelta luministica che rimanda ad Honthorst. Mentre il dipinto più discusso dei tre è la Flagellazione (fig. 2). Per alcuni studiosi chi ha dipinto quest’ultima tela non può aver dipinto anche le altre due. Qui rispetto alle prime due, viene celata la fonte di luce e i panneggi sono meno sintetici, più elaborati. Inoltre in questa tela il pittore mostra difficoltà e secchezza nella rappresentazione del corpo in movimento dei due sgherri, il cui modello è ancora una volta Honthorst nella Decollazione del Battista in Santa Maria della Scala.

Concludendo, il Candlelight Master forse alias Giacomo Massa è un pittore attivo a Roma nella prima metà del quarto decennio del Seicento che basa la sua ricerca artistica sul naturalismo caravaggesco interpretato da Honthorst nel secondo decennio nella direzione della pittura a luce artificiale, caratterizzata da suggestivi effetti chiaroscurali. Il nostro artista sperimenta uno stile del tutto personale rielaborando a sua volta l’opera di Honthorst e facendo di questo tipo di pittura il suo marchio di fabbrica.

Maria Rosaria Napoleone

fig. 6  Cristo Bambino nella bottega di San Giuseppe, 1614 ca, già Convento di Montecompatri

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